PRESENTAZIONE di Emanuele Occhipinti

Dopo  " U LUOCU, U TIEMPU " ( ed.1998 ) Salvatore  Vicari   ci   propone  una seconda raccolta dei suoi versi forti ed efficaci sia sotto l'aspetto tecnico che sotto quello del contenuto; ma con un'ulteriore maturazione , come dimostrano alcune composizioni già pubblicate nel primo libro e ora qui di nuovo presenti, in qualche modo rivisitate. E questo è il segno inconfondibile del rigore matematico e scientifico, dell'uomo che è il nostro poeta, istintivamente e professionalmente portato a provare, riprovare, a rifare i conti, a rimettere ordine, a far passare la materia trattata sotto il vaglio della logica e della ragione. Il che potrebbe sembrare la negazione della poesia. Ma non è così. Perché, altrimenti, dove starebbe il mistero e il fascino della poesia stessa?          

          Il Vicari ci si presenta, dunque, fuori dagli schemi più consueti del settore letterario, verso cui nella piena maturità intellettuale, e oltre, si è sentito attratto prepotentemente. E lo fa con voce profonda, nello stesso tempo antica e moderna; antica per il sentire epico dei valori umani intimi, familiari e sociali, moderna per la dimensione libera dei versi, ubbidienti soltanto ai ritmi interiori dell'anima e all'esigenza di pause ora brevi ora lunghe, di frasi ora di ampia movenza ora di taglio incisivo, di immagini ora realisticamente descrittive ora lievemente sfumate, poeticamente allusive e ricche di metafore.

La raccolta, sviluppata in tre sezioni, non offre un tessuto contenutistico uniforme, ma sapientemente graduato attraverso distinti stadi, cui comunque è sempre presente il gioco del sentimento, della riflessione, della memoria, della speranza, in un tragitto in cui il presente è soltanto una pausa in confronto agli ampi orizzonti del passato e del futuro. Può renderne conto una breve analisi particolareggiata.

          Nella prima sezione ( U suli quatratu ) ricorrono soprattutto i temi del mistero cosmico, della natura, del vivere sulla terra, con la presenza costante del sole come testimonianza perenne di una forte ansia di illuminare ogni piega dell'esistenza e di penetrarne il mistero.

          Perciò è ricorrente un certo realismo descrittivo unito al desiderio di esplorare e di conoscere, ma non disgiunto da fugaci sentori di nostalgia e di improvvise proiezioni verso il futuro in un mescolarsi di motivi quali la giovinezza, la vecchiaia, la morte, armonizzati dal denominatore comune di una profonda religiosità che si avvolge nel mistero. Tutto questo ci annuncia la lirica di apertura, che non a caso dà il titolo al volume, dove la fantasia  crea una situazione surreale con efficaci effetti simbolici: le più grandi scoperte e i risultati più esaltanti sono dovuti spesso al verificarsi di situazioni imprevedibili, quasi attraverso un gioco strabiliante che evidenzia una realtà stupefacente. I versi rivelano subito un animo fanciullo e insieme rigorosamente riflessivo proteso verso la ricerca e la speranza di approdare a quanto di più sconvolgente è contenuto nella vita universale. Il libro si apre, dunque, con un autoritratto spirituale, che si sintetizza nel titolo, proiettato poi sull'intera raccolta, dove continuamente si percorrono itinerari segnati da punti di sosta variamente tesi a cogliere momenti di vita che via via, partendo dalla fanciullezza, focalizzano la giovinezza, l'età matura, gli anni estremi, sempre protesi attivamente verso un futuro che non avrà mai fine. E questa determinazione dell'uomo-Vicari a penetrare nelle leggi della natura, addirittura dell'universo, a valicare i limiti entro i quali egli si sente chiuso, giganteggia nella seconda composizione ( 'M puntu r'appuòiu ): Ahi putissi …truvari putissi n appuojiu / unni ciantàricci i pièri / e cchê manu u munnu ammuttari , dove non mancano, tuttavia, elementi di contemplativo abbandono lirico : E a sira, se a luna ti spogghia e ti curca, / nun vali se 'rrestunu i stidhi, tanti, ma fridhi e 'mmiriusi Così pure in   Armenu na vota   salta in primo piano il ricercatore ( e vìrriri u munnu, siènnu ch'è ttùnnu, / cu è ca i fila cci tira / e ccomu gghira  ) animato dal desiderio di evadere  dal peso della realtà comune per capire il funzionamento dei meccanismi planetari, per poi, acquietato, raccogliersi serenamente in solitudine nella propria casa e vivere la vita, come viene, in attesa della fine: Ma â sira, / prima ca scura, / vuògghiu turnari â casa / e stari sulìdhu, 'rricugghiùtu / ar'aspittari / macari mutu, / rô rriestu râ vita / ca scùrrunu i peni  comu veni .E mentre si proietta verso il futuro, nella speranza e nell'attesa  ( Canzuna ), il poeta rievoca la giovinezza con un pizzico, si, di malinconia, ma soprattutto come motore di un'esistenza che non rinuncia mai a desiderare ciò che è naturalmente bello , riposante, piacevole (…rusidhi ri maju, …cantari cuntentu,..mùrmuru r'unna).Successivamente                  ( Cumedia rusticana ) possiamo ancora notare una distaccata considerazione del trascorrere della vita verso la fine del suo percorso, ma con dentro l'ansia di conoscere al meglio possibile la vita stessa, la realtà, le leggi dell'universo e, soprattutto, di squarciare il mistero dell'eternità. Cosa che, comunque, non implica una rinunzia alla vita, perché, soddisfatta la conoscenza dell'oltretomba, il poeta vorrebbe potere avere  macari u bbiglièttu ri rituornu.

          Nella seconda sezione ( U sirilli ri petra ), pur permanendo la costante della descrizione realistica e delle figurazioni allusive , sempre nell'uso di un linguaggio concreto, senza orpelli letterali o accademici, i contenuti risultano più intimi, la curiosità scientifica e naturalistica cede il posto a riferimenti più umani, a richiami più affettivi, a rievocazioni di tipo sentimentale riguardanti la giovinezza del poeta, le sue origini, le figure familiari della madre e soprattutto del padre perduto, con l'espressione dell'anelito  religioso al ricongiungimento ( A tia patri ) o del richiamo dei tempi lontani anche attraverso il ricordo di piccole cose o di situazioni solo apparentemente insignificanti (Ntô scurari, ciovi ) oppure dell'orgoglio di appartenere al mondo spirituale e culturale dove a scarpi ruossi corrisponde u cirviedhu cciù finu ( Scarpi ruossi ). Così, filtrati attraverso le suggestioni della memoria, emergono i gesti del seminatore ( Siminaturi ) avvolti in un'atmosfera solenne e religiosa  (e a ogni ppasso, rapiènnu la manu , / a terra 'bbinirìci senza stola ), mentre il tema della morte si risolve come principio di vita e come legge di natura al di là di ogni riferimento ai valori della fede ( siennu a morti simenza ri vita ).  

          La terza sezione  ( Matri terra ) continua sulla linea tematica della seconda, ma scandendo in modo più specifico i contenuti e il senso delle tre tappe fondamentali dell'esistenza : passato-presente-futuro. Si tratta, comunque, di dimensioni di cui il poeta conserva sempre una lucida consapevolezza, senza sentimentalismi scomposti, con l'equilibrio spirituale di chi sa bene che non ci si può perdere o smarrire negli abbandoni nostalgici legati al passato, né nella provvisorietà dei dolori o delle gioie del presente , né nell'incertezza e nell'ansia che coinvolgono le proiezioni dell'anima verso il futuro, persino verso quel futuro che si scioglie nell'infinito e nell'eterno,  dove i valori della fede religiosa, anche se non esasperati ed enfatizzati, effondono  vibrazioni acquietanti. Così, nella lirica Matri terra, al di là del classico sentimento filiale e affettivo verso la terra natia e della fierezza dell'appartenenza all'ambito della vita e della cultura contadine, troviamo la serena contemplazione della morte  come fatto naturale, quasi gratificante : n annu si campa/ e 'ppuoi si mori /… / iu pïenzu e sïentu / quannu ri l'uomu / a stasciuni rô tïempu veni ca si cïuri / ri l'aternu ca trasi / strittu ntê vrazza tuoi, o terra ri spranza  / gghià si na gusta lu sapuri. E in Pammini le immagini allegoriche e allusive della vita  che malinconicamente scivola verso il suo autunno si risolvono nella speranza di una Luce, che è, sì, uno spiraglio vivo e fulgido, ma mai tale da offuscare la dimensione del vivere terreno. Dove il presente, con i suoi frastuoni e i suoi clamori stressanti, rievoca con nostalgia, per contrasto, tenui rumori dei tempi andati ( Séntiri, ri notti ) e, per associazione di idee, più composte abitudini familiari; e c'è un voler fuggire dal presente ( luntanu / ntô scuru / mi fìngiu c'abbuolu ) magari non per recuperare un irreversibile passato, ma per conseguire un futuro che meglio si armonizzi con quel passato. Infine, esemplare, da questo punto di vista, la lirica che chiude la raccolta (Ncutti rrica ) dove il poeta afferma che cerca di leggere nelle fitte righe della vita per cogliere e capire le radici del passato, ma senza perdere di vista il futuro, lasciando, tutto sommato, poco spazio al presente, che è un groviglio in cui si incontrano e si scontrano i ricordi e le attese .

          L'analisi delle liriche qui non può essere che parziale; ma tanto penso possa bastare per introdurre e invogliare il lettore  a gustare l'opera nella sua interezza. Mi preme, tuttavia, aggiungere una considerazione conclusiva.

          Ritengo che vada segnalata, in questa seconda raccolta poetica del Vicari, un'evoluzione e una crescita qualitativa di tipo contenutistico, con un ampliamento dell'orizzonte che sembra veramente notevole. Infatti il nostro poeta supera i limiti, direi canonici, della poesia dialettale, che generalmente si tiene sulla curiosità popolare di costume, sullo scorcio realistico di un paesaggio o di una situazione sociale, sul ritratto di persone o cose, magari con piacevole tono oscillante tra il serio  e il faceto. Invece qui troviamo la grande tematica esistenziale, quella normalmente familiare ai poeti in lingua. E il merito di Salvatore Vicari  sta nell'aver saputo adattare il dialetto a questa diversa  e non tradizionale situazione. Operazione non facile, ma qui perfettamente riuscita, poiché il linguaggio è corposo, allusivo, ricco di metafore, tipico del dialetto, riesce a proporsi  come veste ottimamente ritagliata su contenuti di dimensione universale, che attengono non soltanto a un contesto paesano o regionale, bensì a un problematica  che appartiene agli uomini in quanto tali, indipendentemente dal clima che li avvolge, dal cielo che li sovrasta, dal sole che li illumina e li riscalda. Questo senza trascurare l'impronta lirica e autobiografica, il marchio d'origine di una terra e di un paesaggio inconfondibili, il colore e il calore presenti nel sangue e nell'abito mentale, nella sicilianità dell'Autore.



U SULI QUATRATU

U suli quatratu
'M puntu r'appuòiu
Vuògghiu abbulari
Palumma
Ô cielu r'aùstu
Armenu na vota
Canzuna
Cumedia rusticana
Ri juòrnu e ntâ nuttàta
Frannùgghi


I FIUREDHI

U SIRILLI RI PETRA

Patri
Nto scurari, ciovi
Scarpi ruossi
U sirilli ri petra
Siminaturi
Rumani è Natali
U signu râ cruci


U SIRILLI RI PETRA

MATRI TERRA

Matri terra
Ô vientu ca sciùscia
Pàmmini
Ci tuorni
A sterna
Sèntiri ri notti
U vignanu
Burrasca
Ncutti rrica


A STERNA