Hanno detto ...
 

In occasione del Premio " LAURENTUM "a Roma nel maggio 1999 sulla poesia " PAMMINI "

" In forma ammirevole e delineata, trattata con un linguaggio discorsivo e chiaro, in questa poesia " PAMMINI " di Salvatore Vicari di Ragusa con forti accenti e incalzanti contenuti, paragona la nascita e la fine delle foglie con i vari chiaroscuri cicli della nostra esistenza. Lirica ben dosata nel contenuto e nella struttura.

 

In occasione del premio " POESIA E RETE " nel marzo 2002 a Trapani per la poesia " A SIRA CIOVI "

" Atmosfera struggente di immediato impatto , supportata da una espressione poetica di grande perizia e da una costruzione che anche graficamente, rende, pur nella intrigante difficoltà lessicale, l'andamento malinconico di un travaglio personale che anela alla catarsi, raffigurata dalla pioggia- lacrima , pioggia- simbolo che possa lavare le amarezze e le delusioni del quotidiano in cui nidificano i pensieri che si fanno più fitti e dolorosi al rabbuiarsi del giorno-vita.
Nasce l'invocazione " trasi e mi vagni " , poi l'implorazione " trasi e mi lavi "ad una voce amorevole , al padre goccia-, padre- pioggia battente, padre rinascita.

Firmato FLORA RESTIVO CUGURULLO Trapani 23 marzo 2002
 

"Al piacere della recensione aggiungo il piacere della lettura delle sue liriche puntuali e sbalorditive sul piano della emotività.
La semplicità e la chiarezza delle immagini, siano esse intime che ben estrinsecate, sia ambientali sia intimistiche, indicano la strada e l'intesa verso l'alta poesia.
Non è concepibile alta poesia se non quella che sta nell'uomo, per l'uomo e fatta dagli uomini per gli uomini, anche la più isolata, la più singolare, la più, come dire, umile e nascosta della poesia, un modo di essere dell'anima.
Perché la sua , è poesia dell'anima, senza mai convalescenza, e piuttosto con molta determinazione e sicurezza.


La poetessa LINA RICCOBENE di Delia

 

Ho letto, con coinvolgimento emotivo ed estetico, la lirica “Turnassi aprili” del poeta Salvatore Vicari: Si tratta di un testo poetico connotato da intenso sentire e stilisticamente calibrato nei toni, essenziale: elementi - questi – che potenziano la resa comunicativa.
Il vernacolo ibleo è prevalentemente adottato:
- nella sua valenza orale, ma elaborato nella sapiente strutturazione del testo scritto;
- nella sua tradizionale pregnanza ( arcaismi compresi ) ma anche nella consapevolezza dei moderni e e modernissimi percorsi della poesia dialettale siciliana dal dopo guerra ad oggi.
Ne emerge una poesia capace di coniugare il nuovo o, per meglio dire, di esprimere il nuovo nel solco dell’antico.
La versione in lingua italiana non è pedissequa e non può considerarsi una mera traduzione
(come spesso accade in casi del genere, con un calo di immediatezza e di freschezza di immagini ): vi rilevo, infatti, una dignità artistica pari al testo dialettale.

Il poeta LUCIO ZINNA sulla poesia “ Turnassi aprili “
 


A Vittoria in occasione del Premio Letterario Nazionale Ninfa Camarina 2001
Premio Speciale della Giuria per la poesia "PAMMINI"


“Lo scorrere del tempo e i tesori della memoria si fondono nella metafora delle foglie, rese umane nel sentimento come il lamento e la speranza di chi cerca un senso nel passato e nell’attesa.
Ridono e aspettano le foglie giovani, come un adolescente che si inoltra nella vita; seccano e si intridono di pena le foglie che cadono a un soffio.
La luce è pura intuizione, affetto che si sente e che non si pensa, indice di un varco verso il quale si può scorrere senza timore di sbandare”.

 

A Vittoria in occasione del Premio Letterario Nazionale Ninfa Camarina 2002
1a Classificata "NCUTTI RRICA"

“E’ un perdersi smarrito nei ricordi. Tutto è calcinato, pietroso, scavato, ma vibrante nell’abisso dell’animo. Un dialogo dolente di estremo languore si stabilisce fra i vari elementi del paesaggio come una comunione d’intenti con i personaggi, che acquistano nella loro umile realtà quotidiana significato e coerenza.
L’albero fra i disegni del bimbo con le foglie verdi e secche si carica di un senso allusivo, simbolico, che culmina con la struggente rappresentazione di un dolore senza disperazione, pietrificato “ la madre piange memoria su una pietra di marmo inginocchiata”, la colomba “ sulla cima di foglie intreccia il suo nido”.
Sapiente è la tessitura delle rime che si snodano lente, aspre talvolta, ma con una musica mesta. Tutta la lirica è strutturata con sapiente maestria”.
 

Il 26-04-02 a RAGUSA al Liceo Classico Umberto I, in occasione della Presentazione del libro “U luocu, u tiempu”


Penso che sia doveroso citare i premi che riportano delle motivazioni che riconducono a quello che io chiamo il caso Vicari. Cioè noi dobbiamo spiegare a noi stessi, a chi parla per primo, e poi comunicare queste impressioni per capire il motivo di questa mietitura di riconoscimenti.
…….
Leggendo l’opera di Vicari si percepisce la sua doppia personalità di matematico e di poeta.
E’ importante sottolinearlo perché questi due aspetti, queste due facce, della sua formazione, rappresentano la sua caratteristica.
Per meglio cogliere il poeta Vicari dobbiamo dividere la sua poesia in quelle che sono le due parti ovvie : contenuto e forma.
Iniziamo dalla prima, la forma, quindi la lingua: Vicari è un matematico che non appartiene al mondo letterario, non è un letterato, non ha fatto accademia, non ha la cultura dell’accademia e forse bene per lui, perché io sono convinto che l’accademia passa ma la poesia resta.
Allora, tutte queste lacune costituiscono invece un fatto fondamentale , forse il bene della sua esperienza lirica e poetica perché nella misura in cui non possiede tutte quelle che sono ovvie in chi realizza poesia, o per studio o per formazione, lo portano a crearsi la sua forma espressiva, e inventa la forma espressiva di Vicari.
Colui che realizza la produzione di lingua siciliana, perché io non parlo di dialetto, ma di lingua siciliana, realizza la sua lingua.
La lingua di Salvatore Vicari è lingua siciliana,sua, personalissima, che non ha nulla a che fare, con la lingua siciliana di Carmelo Assenza, con la lingua siciliana di Migliorisi, perché ogni poeta in lingua, siciliana nel nostro caso, realizza personalmente la propria lingua.

Nino Cirnigliaro

 

Ad Alcamo presso il Centro d’Arte Coreografica “Aglaia” in occasione del Premio Artistico Letterario “ Nicola Mirto” 2002, per la premiazione della poesia "LA SERA PIOVE"

“Con le ali volano i pensieri ai monti al primo sole. Nel meriggio più in alto inseguono i venti verso il mare. Ma la sera tornano a frotte con gli uccelli nei suoi nidi a riposare”
C’è gioia trepidante in questi splendidi versi, una serena felicità che rimanda la mia memoria a quei “Canti di Castelvecchio” e di “Myricae” di Pascoli, dove la sera Pascoliana rappresenta un “ transito sereno dalle bufere del giorno e della vita alla pace della sera e della morte” (Trombatore).
Anche questo Carme:”La Sera Piove”, del nostro poeta, si apre ad una “variazione musicale” dai toni mesti, quasi un “adagio”, dove non alita una “vitalità diminuita”, né un “intimo disfacimento della ragione e dell’esistenza”(Barberi), presente in molta parte della poetica Pascoliana.
Qui il poeta contempla, in un certo senso, una sera piovosa, dove, nel grembo della natura ”volano i pensieri ai monti…”, in quello sfondo cheto, mentre i suoi ricordi ”nel meriggio più in alto inseguono i venti verso il mare”.
E’ un quadro, se volessimo parlare in termini pittorici, dalla raffinata tecnica impressionistica, colto nei suoi migliori effetti cromatici, in cui domina una “linea orizzontale”(Calma) e una “linea ascendente”(Gioia, Vitalità), fatte di “tinte calde” e “toni chiari”; si tratta, allo stesso tempo, di speranze e memorie trasportate dal vento ”verso il mare” mentre riedono, a sera, “a frotte con gli uccelli nei suoi nidi a riposare”.
Riappare il tema del “Nido” che rimanda a quegli affetti familiari, a quelle sonorità velate che descrivono molto bene la profonda nostalgia del poeta, il carattere tenero e melanconico dei suoi ricordi più belli.
Tra il poeta e la natura si stabilisce un ponte che non si alimenta del “retrogusto estetico” del Surrealismo né cede al “gusto romantico del naufragio” (Momigliano); la sua lirica non corre sul filo della dialettica tra “l’immaginario” e la “realtà”, come accadeva per il Surrealismo, qui c’è interiorità poetica che Worringer scorgeva nella gioia della creatività artistica tradotta in quel “Das Wort ist ein innerer Klang” (La parola è un suono interno), che si traduce, nell’arte pittorica, poetica o musicale, in cromatismi e giochi di chiaroscuri che ci parlano, prima di tutto, di quelle formidabili “variazioni dello spirito” e che, in un secondo tempo, si apre alla visione della realtà, della natura in tutte le sue manifestazioni stagionali, nella solarità di un meriggio estivo, o nell’”ombra muta” di una sera di pioggia quasi autunnale che il poeta sembra rimirare ed invocare: “ E io qui invoco sulla nostra terra l’acqua che piova”.
Questa atmosfera evocativa e colloquiale, che avvicina il poeta a suggestivi ed arcani misteri dei “silenzi delle spirito”, preludio di una nuova estetica ed esperienza creativa, lo pone, altresì, in uno stato di serena attesa, in quella “brama dell’anima” tanto cara a Marcel, che “è il soffio che accarezza la brezza che il cielo cerne fosco sulle case”, mentre egli, ancora una volta torna a invocare “ l’acqua che piova”:”vieni benedetta e mi bagni”.
E’ l’incontro del poeta con la sera ricca di suggestioni e di misteri mai svelati del tutto, fatta di vibrazioni sinestesiche dello spirito e della natura nel suo più alto godimento e incantamento. Cosa offre, in fondo, al poeta, quella serra se non “una goccia tremula”che”scivola soletta sulla vetrata”, ma essa, suscita nel suo animo profonde emozioni e sensazioni, poiché nella sua visione “interna” gli appare come una “lacrima allo specchio in controluce che dal labbro se ne scende fino al cuore”, capace di suscitare “ un pensiero nella memoria amaro la malinconia”, un pensiero, una dolce malinconia che non è “fraseggio” ma lirismo puro, vero canto dell’anima. In quell’”incantesimo fecondo”e rigeneratore, solcato da un lento crescendo come in un “fremito”orchestrale, l’assolo di quella “goccia tremula” lascia il posto al “lamento del vento” e alla “burrasca che bussa sul tetto”.
Un’armonia, potremmo dire, tra due linee estreme, che si fondono in un grande “accordo mobile” dalla forte ed incisiva sonorità. E’ lo sfogo dell’anima che si accompagna a vorticosi moti interiori, a profonde commozioni; lontano, ormai, dagli stilemi romantici, il dolore del poeta ci appare vero, vera la sua invocazione, urlata là “sotto il cielo” dove “è pianto nel petto e sulle case”, mentre in quel lavacro rigeneratore la notte si aprirà ad una novella Alba.

Per la Giuria : M.° Adriano Angelo Gennai

Con fervida e drammatica implorazione, il poeta chiede che l’auspicata pioggia non sia solo “acqua sulla terra” e “burrasca che bussa sul tetto”. Ma sia soprattutto lavacro rigeneratore. E il Padre entri “nel petto e nelle case”, e lavi le impurità del corpo e dell’anima. La lirica pulsa di una indubbia tensione spirituale.

Per la Giuria : Prof.re Carlo Cataldo